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Quando le armi sostituiscono il protocollo

BlogDiario.info
Jenin, Cisgiordania, 21/05/2025
Un’unità dell’esercito israeliano (IDF) ha sparato colpi di avvertimento in aria durante la visita di una delegazione diplomatica composta da 25 rappresentanti internazionali, tra cui diplomatici europei, cinesi, giapponesi, indiani e il viceconsole italiano a Gerusalemme, Alessandro Tutino. L’incidente, avvenuto durante una missione di osservazione in un’area storicamente sensibile, ha provocato panico tra i presenti.

Non ci sono stati feriti. Ma l’episodio non può essere minimizzato.

Sparare nei pressi di una delegazione diplomatica ufficiale non è un semplice eccesso di zelo: rappresenta una violazione diretta del principio di inviolabilità diplomatica, uno dei fondamenti del diritto internazionale. L’esercito israeliano, come qualsiasi forza militare professionale, è perfettamente in grado di riconoscere una missione ufficiale. Se spara comunque — anche solo in aria — lo fa con piena consapevolezza delle implicazioni politiche.

Italia e Francia hanno convocato gli ambasciatori israeliani a Roma e a Parigi per chiedere chiarimenti. È un passo doveroso, ma insufficiente se non seguito da misure concrete. Perché quando si spara vicino ai diplomatici, non partono solo proiettili: parte anche un messaggio.

E quel messaggio — intenzionale o meno — è inquietante: in alcuni territori, anche l’osservazione internazionale sembra essere percepita come un’intrusione.

In un momento in cui le tensioni regionali sono altissime, atti di questo tipo non possono essere banalizzati. Indipendentemente dalla bandiera, dalla religione o dalla causa: l’immunità diplomatica non può essere subordinata al rumore delle armi.

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