
Il giorno in cui un divorzio cambiò domicilio a Dio
Cinque secoli fa, un re con problemi coniugali scrisse al Papa per chiedere l’annullamento del suo matrimonio. Non per amore, ma per eredità. E poiché Roma rispose di no, Enrico VIII scelse la via più semplice: fondare la propria Chiesa e proclamarsi teologo per decreto reale. Il Vaticano perse un fedele, ma guadagnò uno scisma da manuale.
Oggi, lo stesso documento che avviò la rottura —un pergamena del 1530 nascosta dietro un trono— torna alla ribalta come simbolo di riconciliazione. Ironie divine: ciò che nacque come supplica ardente per un divorzio diventa ora reliquia di pace.
La pergamena sopravvisse a guerre, saccheggi e napoleoniche razzie. Eccola lì, con ottantacinque sigilli di ceralacca rossa che pendono come peccati confessati. Alcuni vuoti, perché i nobili che rifiutarono di firmare finirono impiccati. Nell’Inghilterra di Enrico, anche il silenzio aveva un prezzo.
E intanto, cinquecento anni dopo, un nuovo monarca britannico —Carlo III, capo della Chiesa anglicana— prega con il Papa nella Cappella Sistina. Un gesto che avrebbe fatto strozzare lo stesso Enrico VIII con il suo pavone reale.
Roma sorride. Anche la Storia.
La Chiesa che un tempo negava i divorzi ora benedice la riconciliazione.
E la vecchia pergamena, dal suo armadio segreto, sembra mormorare:
«Alla fine, tutti tornano a casa…»
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