Argentina
Mentre la signora Kirchner sconta la sua “pena” domestica con tutti i comfort —più spa che carcere—, l’Argentina continua ad appellarsi all’inappellabile. Non per salvare pensionati o ospedali, ma per trattenere le azioni di YPF come se fossero l’ultima collana della nonna.
La Corte d’Appello di New York ha concesso un po’ di ossigeno a Buenos Aires: i titoli restano parcheggiati alla Caja de Valores finché non si deciderà la causa di fondo. Tradotto: palla in tribuna fino a settembre, e poi… vediamo nel 2026.
Il paradosso è che il “governo libertario” oggi si trova a difendere il lascito di Cristina. Proprio quell’esproprio del 2012 che ora costa 18 miliardi di dollari e fa brillare gli occhi agli avvocati di Burford Capital, specialisti nel comprare cause come altri comprano bond spazzatura.
Nel frattempo, gli Stati Uniti si sono presentati come amicus curiae. Non per simpatia verso Milei né per amore all’Argentina, ma per ricordare che l’immunità sovrana non si tocca: oggi tocca a Buenos Aires, domani potrebbe toccare a Washington.
Gli argomenti portati in tribunale fanno sorridere:
il principio di “comity” internazionale, la sacra immunità sovrana, i titoli custoditi a Buenos Aires e non a Wall Street, e la ciliegina: “tanto non si possono vendere senza due terzi del Congresso”.
Intanto la giudice Preska osserva serafica, come chi sa che alla fine il conto lo incassa comunque. E Cristina sorride: perché anche agli arresti domiciliari, il processo che porta la sua firma continua a dettare l’agenda mondiale.
Morale: l’Argentina che ricorre a New York per ciò che non ha mai risolto a Buenos Aires. Un po’ come il vicino che va dall’amministratore a lamentarsi del cane, ma non spazza mai il marciapiede davanti a casa.
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