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🗞️⚖️🗳️ L’ombra che ritorna da Bruxelles: il caso Ferrari colpisce Farage

In politica, le biografie non si scrivono solo con ciò che si fa, ma anche con ciò da cui si tenta di fuggire. Nigel Farage lo sa bene: ha passato due decenni a Bruxelles denunciando un sistema a cui apparteneva con entusiasmo salariale, prima di reinventarsi come crociato della Brexit. Ora, ironia della sorte, è Bruxelles a bussare di nuovo alla sua porta.

La giustizia belga emetterà il 5 novembre una sentenza chiave nell’inchiesta per frode che coinvolge l’Istituto per la Democrazia Diretta in Europa (IDDE), un think tank euroscettico diretto da Laure Ferrari, oggi compagna del leader di Reform UK. L’Ufficio Antifrode dell’Unione Europea (OLAF) ha rilevato presunte irregolarità nell’uso di fondi pubblici tra il 2014 e il 2016 e ha raccomandato azioni penali.

Ferrari sostiene che si tratti di un’operazione politica, nata — secondo lei — in “settori ostili del Parlamento europeo”. Tuttavia, il caso è ben lontano da una disputa ideologica: i giudici analizzeranno spese ingiustificate, contratti presumibilmente pilotati e donatori premiati con benefici poco trasparenti. Bruxelles, quando decide di mordere, difficilmente lascia la presa.

Farage non è imputato né indagato. Ma non è necessario sedere sul banco degli accusati per subire un logoramento politico. La sua campagna per presentarsi come un primo ministro “libero da scandali e impegnato per la trasparenza” ha ricevuto una bomba fumogena che rischia di diventare permanente. Soprattutto perché il fascicolo giudiziario lo ricollega a un vecchio universo che oggi rinnega: le strutture politiche europee che tanto denaro gli hanno fruttato.

Il caso, inoltre, non arriva nel vuoto. Ferrari è finita di recente sui tabloid britannici per l’acquisto in contanti di una casa da 885.000 sterline nell’Essex, operazione che ha permesso a Farage di evitare la sovrattassa sulle seconde abitazioni. La sua risposta è stata goffa: prima ha detto che la casa era sua, poi che era di lei, poi ancora che si era espresso male. Risultato: più domande che risposte sull’origine del denaro.

Il rischio immediato non è giudiziario, ma narrativo. Farage ha costruito il proprio potere su un’idea semplice: lui parla “chiaro” mentre il sistema mente. Ora è lui a dover spiegare, con troppe precisazioni contabili, ciò che non torna. E quando la politica entra in modalità calcolatrice, l’epica si dissolve.

Bruxelles consegnerà il suo verdetto a novembre. Non sarà un terremoto legale per Farage, ma lo sarà per la sua immagine: ogni volta che denuncerà la corruzione altrui, qualcuno ricorderà che il vento ha soffiato anche a casa sua. E se c’è qualcosa che ogni tribuno populista detesta, è perdere il monopolio dell’accusa morale.

Nel gioco politico britannico, i procedimenti giudiziari non sempre decidono i leader. Ma rivelano sempre qualcosa di essenziale: chi è capace di sopravvivere alla verità scomoda. Farage sta per scoprirlo.

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