
Un piano da incorniciare nella collezione universale delle idee più spudorate del XXI secolo: trasformare le macerie della Striscia di Gaza in un “paradiso turistico high-tech”, una sorta di Riviera del Medio Oriente con spiagge candide, grattacieli luccicanti e centri di manifattura all’avanguardia.
A rivelarlo è il Washington Post: tra i protagonisti dell’operazione compaiono figure del calibro di Marco Rubio, Steve Witkoff, Tony Blair (sempre pronto a riciclarsi in qualche missione di “ricostruzione”), e Jared Kushner, genero onnipresente dell’ex presidente Trump.
Il meccanismo, raccontano le indiscrezioni, sarebbe semplice: amministrazione fiduciaria degli Stati Uniti per almeno dieci anni, compensi in dollari per i palestinesi disposti a “volontariamente” farsi da parte, e una colata di cemento turistico-industriale su uno dei luoghi più martoriati del pianeta.
La logica è spietata e disarmante: dalla tragedia, il business. Dalle rovine, il resort. Dal sangue, il cocktail servito in riva al mare.
Non è un’idea nuova, ma raramente è stata proposta con tanto candore. E così, mentre a Gaza la popolazione civile continua a lottare per la sopravvivenza quotidiana, nei salotti del potere globale si disegna la cartolina patinata di un futuro fatto di yacht, casinò e centri congressi.
Un piano che, per quanto “visionario”, non cancella una verità elementare: i popoli non si comprano con dollari, e le macerie non si trasformano in spiagge senza prima passare attraverso giustizia, memoria e dignità.
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